Partendo da un disastro naturale come il terremoto di Gibellina, Delbono riflette sui momenti in cui, come in quel caso, l’uomo si trova di fronte ad un bilico dove stabilisce una forte e diretta relazione con la morte e comincia da subito a nutrire in sé stesso il germe di una rinascita, di una nuova apertura alla vita.
Attraverso le parole di Ungaretti e le canzoni di Danio Manfredini, i brani musicali composti insieme ai musicisti in scena, alcuni pezzi rielaborati e alcuni originali di Kobaleswki, Chick Corea, Beethoven, Bartòk, viene ricostruita una memoria che attinge anche ad altri ‘terremoti’: è la memoria degli anni ‘60, gli anni della libertà, dei freak, dei colori, del Flower Power, gli anni d’inizio della contestazione in Italia e di tutti i movimenti nel mondo. Quella memoria evoca sulla scena sentimenti come la paura, come il sentirsi totalmente indifesi, ma anche solidarietà, amore, forse anche gioia, lucidità, maggiore chiarezza anche su di sé, sulla vita, sul mondo.