“Perché quando chi muore è un Papa o un presidente o un cittadino celebre, un militare dai colori patriottici, un turista, i visi diventano seri, tristi, comprensivi, cristiani, buoni? Non vi è sangue, strazio, ingiustizia, disperazione in qualsiasi uomo che muore ucciso da un altro uomo? Queste cose non capisco. C’è una maschera di menzogna che avvolge i bei discorsi politici, religiosi, umanitari. Una maschera orribile. Spesso più orribile della morte stessa. Guerra è accettazione dell’uccidere. Accettazione dell’atto che uccide la nostra bellezza, la nostra memoria, la nostra carne. È soltanto in quella mano che uccide che dovrebbe stare il nostro disgusto. Sempre. In un corpo elettrizzato in una fredda cella bianca di un paese civile, in un uomo violentemente ucciso in un paese dal nome così dolce, in un altro mangiato da un tremendo virus che nessuno vuole - anche se può - fermare”.
“Ricordo mio papà, il suo spirito lucido e ribelle, anticonformista, mio papà che suonava il violino, religioso e ateo allo stesso tempo, mio padre che poi sempre più attento alla famiglia, ai sacri doveri, ai figli, a poco a poco aveva lasciato quello spirito ribelle contestatario, libero, aveva venduto il violino, l’arte. Si è spento così giovane negli anni senza rendersi conto del suo essere velocemente, nella famiglia, diventato vecchio. E la giovinezza, cari prelati notabili e conti è forse, come diceva il grande poeta omosessuale Sandro Penna, questo perenne amare amare AMARE AMARE AMARE AMARE AMARE i sensi, e non pentirsene”.