Dai diamanti non nasce niente
Bobò e Michael Lonsdale sono soli nella Reggia di Versailles. Insieme camminano nelle stanze di questo palazzo fantasma del potere. [sinossi]
Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior. Sulle note di questa strofa di Via del Campo, indimenticabile canzone di De Andrè, con Bobò che raccoglieva fiori, si concludeva lo spettacolo Barboni, che aveva segnato l’inizio del sodalizio artistico tra Delbono e Bobò, sordomuto, quest’ultimo, scoperto dal primo in un laboratorio teatrale realizzato nel manicomio di Aversa.
Stare dalla parte dei più deboli, dare voce e restituire dignità agli emarginati dalla società, a coloro che sono considerati da questa come gli ultimi. Questo è il filo conduttore di tutta la produzione artistica di Delbono, tanto a teatro come al cinema. Personaggi rimossi, scomodi per la loro stessa esistenza. Paria che non possono far parte dei circoli buoni e per bene, per motivi etnici, fisici, economici o morali com’è il caso dell’ex-brigatista Giovanni Senzani, protagonista di Sangue.
In questo piccolo lavoro, La visite, presentato alla tredicesima edizione del DocLisboa, Pippo Delbono torna a mettere al centro Bobò, a collocarlo letteralmente sul trono, nella Reggia di Versailles. E lo fa accompagnare da un grande e storico attore francese come Michael Lonsdale. L’opera artistica di Delbono è un contenitore di opposti, di elementi tra loro in conflitto dialettico. In questo caso ci sono le varie forme d’arte, teatro, cinema, pittura, scultura. La magnificenza della Reggia, sede della corte di Francia, della nobiltà e dell’aristocrazia, in conflitto con l’ex-homeless Bobò; e poi un’icona del teatro e del cinema come Lonsdale messa a confronto sempre con Bobò. Bobò è il terminale di ogni confronto che si conclude con un’inversione di ruoli.
Delbono si muove nelle stanze del palazzo con una macchina da presa meno traballante del solito, rinunciando alla voce off narrativa o a commento che rappresenta la sua cifra stilistica. Esce dal suo tradizionale schema del diario. E con la sua mdp scruta le stanze che furono del sommo potere, i busti aulici di Cartesio e Voltaire. Indugia sui quadri, si muove con lo sguardo al loro interno, nelle scene di guerra che rappresentano. Cattura la luce imponente che filtra dalle finestre in quella che è stata la dimora del Re Sole.
Bobò e Lonsdale attraversano lo sfarzo, il tempio, il museo, passano nella Galleria degli Specchi con la stessa carica della corsa al Louvre di Bande à part, mentre Lonsdale dice “Siamo solo plebei”. L’inversione tra Bobò e Lonsdale avviene simbolicamente nel cambio di ruoli di chi è portato sulla sedia a rotelle, prima Bobò poi Lonsdale. E nel finale lungo un viale di alberi meticolosamente potati e pettinati, tutti uguali, omologati, con i due protagonisti che camminano con un bastone, Lonsdale confessa di essere stato anche lui un emarginato, in quanto figlio illegittimo. Sembra inutile far indossare a Bobò la parrucca stile Luigi XIV. È il suo stesso sguardo, la sua fierezza che trapela, la dignità nell’umiltà, a farne il vero nobile di tutto il film.
Con poco tempo, 22 minuti, con una struttura molto semplice, Delbono riesce in La visite a far conflagrare i pochi elementi a disposizione, e a far trionfare il gesto teatrale puro come nella scena in cui vengono collocati giocattoli tra gli insigni busti di marmo.