Una tessitura priva di trama lineare, che spalanca le porte del nostro buio esistenziale, verso un viaggio visionario a tappe e quadri drammaturgici, per mostrarci senza falsi pudori la verità della follia, della prigionia, per reclamare quel disperato bisogno d’amore cui tutti aspiriamo. Un’onda di bellezza in moto perpetuo volteggia sul palco, i componenti storici della Compagnia Delbono, irrompono continuamente nell’inatteso, in un mare in perenne metamorfosi, dove per salvarsi, bisogna naufragare. Delbono fiancheggia e sospinge i suoi sodali compagni di scena e viaggio, in uno spazio-mente grigio, dalle atmosfere magrittiane, tinteggiato dai colorati e originali costumi creati da Antonella Cannarozzi, che diventa folgorante crocevia dell’immaginario, dove si alternano figure che rappresentano la nostra società e cultura senza veli, i vizi e le miserie di un popolo ingabbiato e cieco, mosso a comando, flash di vita tra viltà ed eroismi.
Riecheggiano in un rito laico e sacrale le parole tratte da testi di autori straordinari: Artaud,Kafka, Alda Merini, Pasolini, Whitman,Alejandra Pizarnik. Le note di Verdi, Elis Regina, Irene Jacob, Pagani, Maria Salgado e il violino dal vivo con le musiche originali di Alexander Balanescu. Il debutto padovano ha visto ospite d’eccezione sul palco Marie Agnes Gillot, étoile dell’Opera di Parigi. Uno spettacolo che rappresenta una tappa importante nel percorso artistico di Delbono, che immette una linfa diversa nel suo linguaggio, puntando anche su effetti video e atmosfere cinematografiche, ospitando artisti che sentono sulla pelle le sue emozioni, proiettando la sua ottica verso il femminile. Gran direttore d’orchestra di questa sarabanda saettante, di questo inno all’amore vero, quello che supera diversità, razzismo, emarginazione, è Bobò, cui Pippo dedica lo spettacolo. Nella sua storia personale, nei suoi anni in manicomio, nella sua sordità, nella sua spontanea grandezza attoriale, c’è l’anima della rappresentazione, c’è la libertà di essere oltre l’apparenza e le regole. A volte nei labirinti che ci imprigionano, succede che si esce dal cammino segnato dal destino personale, a volte danzare per non sentirsi perduti, danzare trasformandosi in rose dal profumo di un giardino ritrovato , danzare come parole sulla bocca di un muto, indica la strada, una via d’uscita, per tornare a essere. Per sentirsi finalmente in pace dopo la battaglia.