Questo concerto è il mio incontro con il violino. Il violino che suonava mio padre alla sera quando tornava da lavorare. Il violino che un giorno ha venduto. Il violino che non ho sentito più suonare. Il violino che appartiene ad una presunto legame familiare che tengo con Nicolò Paganini. Il violinista del demonio. Quando ho ascoltato Alexander Balanescu suonare il violino ho sentito in lui quelle note che uscivano come urli dell’anima. Ho risentito quelle note che non mi facevano dormire la notte da piccolo. E ho sentito in lui il canto di altre vite, di esili, di fierezze di un popolo, il canto di una terra bella e amara: la Romania.
La voce e il violino si sono avvicinate mischiandosi con le parole di Pasolini, di Rimbaud, di Whitman, di Eliot, per cercare di trovare quei fili segreti, magici forse, che uniscono le persone, le storie, al di là delle differenze, al di là delle nazioni, della lingua, al di là dell’essere ancora qui vivi, al di là dell’essere già partiti.
Chissà, forse la musica è quel racconto segreto che unisce, e dà armonia alle cose.